"La vita da grande" di Sofia Assirelli

Romagnola d'origine e bolognese d'adozione, l'autrice e sceneggiatrice si racconta

14 aprile 2025

Romagnola di nascita, bolognese d’adozione, Sofia Assirelli è una delle autrici e sceneggiatrici più talentuose e interessanti del nostro cinema. Dopo il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano, ha scritto episodi di numerose serie televisive di successo, tra cui, L’Ispettore Coliandro, Tutto può succedere, Chiamami ancora amore, I Cesaroni, A un passo dal cielo, Summertime.
In particolare, ha scritto soggetto di serie e sceneggiature de La Porta Rossa, e con  Giampiero Rigosi è stata headwriter della seconda e della terza stagione.
Con Donatella Diamanti ha scritto invece la serie tv Gerri, che andrà in onda a maggio 2025 su Rai 1.
Dal 2017 Sofia collabora con la scuola di scrittura Bottega Finzioni e dal 2020 con la Cineteca di Bologna. Dal 2021 è” Esperta formatrice di educazione visiva a scuola accreditata MIUR-Mibact”, nell’ambito del programma “Cinema per la scuola”.
Nel 2025 il debutto per il grande schermo come co-sceneggiatrice di La vita da grandi, di Greta Scarano, film attualmente nelle sale con ottime recensioni.

Abbiamo voluto scoprire di più su di lei, ed eccoci qua.

“La vita da grandi” è un film di esordi: per Greta Scarano alla regia, per Yuri Tuci alla recitazione e per te, impegnata per la prima volta nella scrittura di un lungometraggio, dopo una lunga e autorevole esperienza con la serialità. La sceneggiatura è stato un lavoro a “sei mani”, che ti ha visto collaborare con Greta e Tieta Madia. Parlaci di questo progetto così particolare visto che ci porta nel mondo di un uomo con autismo e nelle sue dinamiche famigliari.
Sono molto felice che “La Vita da grandi” sia stato il mio esordio cinematografico, perché pur ispirandosi alla storia dei fratelli Tercon e al loro bel libro, sento che mi assomiglia profondamente, ed assomiglia anche a Tieta e ovviamente a Greta, che ha intravisto con grande intuito la scintilla narrativa in questa vicenda. È un piccolo miracolo quando un film riesce ad essere personale per tutti coloro che contribuiscono a crearlo, e credo che questo sia dovuto anche al fatto che abbiamo trascorso molto tempo a interrogarci su cosa ci riguardasse di più a livello intimo. Ci siamo incontrate sotto la superficie del plot, nella profondità dei temi che poi abbiamo deciso di raccontare: la difficoltà di stare nei ranghi di una vita adulta considerata solo come performativa, i ruoli e le dinamiche famigliari che è difficile mettere in discussione, il conflitto tra responsabilità e libertà, tra origini e scelte di vita che talvolta ti portano lontano da casa, una visione della felicità che per tutte noi è anche e soprattutto divertimento e passione per quello che si fa. Tuttavia, il fatto che Omar sia una persona autistica non è indifferente, e tanto del nostro impegno nella fase ideativa ha riguardato l’individuazione del giusto approccio a un mondo che non ci apparteneva. Non volevamo fare un film sull’autismo, perché semplicemente non esiste l’autismo in senso astratto, ma esistono persone autistiche, che però non sono soltanto persone autistiche. Tanti film hanno raccontato il personaggio autistico o con disabilità come un mero strumento di cambiamento del personaggio neurotipico. Invece, in questo caso, sia Irene che Omar sono protagonisti della loro storia, vivono insieme un’avventura, si influenzano reciprocamente e si mettono in discussione. Volevamo anche evitare di puntare sul tema del talento eccezionale, perché spesso sullo schermo i personaggi autistici sono accolti ed accettati solo se possiedono una capacità fuori dal comune, mentre su questo aspetto ci ha guidate molto il sottotitolo del libro dei fratelli Tercon: “Una storia di autismo normale”.

Come ti sei rapportata con Margherita e Damiano Tercon, autori del libro “Mia sorella mi rompe le balle”, da cui il film è tratto?
Ho visto per la prima volta Damiamo e Margherita come molti a Italia’s got talent, poi li ho conosciuti meglio attraverso il loro libro, che esplora il punto di vista di entrambi. La vera connessione però si è creata quando siamo andati a trovarli a Rimini e ci hanno accolti in casa loro e nel loro mondo. Sono stati generosissimi e ci sono rimasti accanto in ogni fase, anche come consulenti della sceneggiatura. Una delle nostre grandi soddisfazioni è stato vedere come si siano sentiti rappresentati dal film nonostante in parte si discosti dalla loro biografia.

Sei stata spesso presente sul set, che ha visto come location principale Rimini. Com’è andata?
Ho partecipato soprattutto alle riprese a Rimini. La cosa più divertente è stata vedere che le situazioni estrose e paradossali tipiche della Romagna, quelle che così bene Fellini ha saputo cogliere e rappresentare, si svolgevano nel set e fuori dal set senza soluzione di continuità. In un certo senso il processo di scrittura si è concluso proprio in quei giorni, nel confronto tra le nostre idee e la realtà delle location. Per esempio, l’idea dell’abbraccio che diventa una danza robot ci è venuta la mattina stessa in cui si sarebbe dovuta girare la scena. Grazie a Greta il clima sul set era disteso e piacevole, c’era solo il piccolo problema del gelo di gennaio: ad un certo punto le costumiste mi hanno dovuto dare un montone over size per coprirmi perché non ero abbastanza attrezzata e stavo congelando.

 Sei nata a Forlimpopoli, nel forlivese, e ora vivi a Bologna. Sempre più spesso vediamo professionisti/e dello spettacolo emiliano-romagnoli scegliere il territorio per vivere e lavorare, anche tu hai fatto questa scelta. Quanto ha influenzato e influenza il tuo lavoro?
Il mio immaginario, il mio umorismo, la mia sensibilità sono scolpiti dalla mia identità romagnola (anzi, dell’Appennino Tosco-Romagnolo) per origini, ed emiliana per scelta di vita, e scrivere e lavorare qui mi offre quella sensazione di familiarità che mi consente, anche per contrasto, di vagare con la fantasia ovunque sia necessario. Vivere a Bologna mi permette poi anche di poter andare al cinema e vedere quando voglio film bellissimi, classici d’autore e nuove uscite, sempre in lingua originale, nelle molte sale del centro storico. Inoltre, a Bologna, si possono avere frequenti scambi – talvolta culturali ma più spesso conviviali! – con i tanti altri professionisti e artisti che hanno deciso di vivere qui: scrittori, registi, montatori, disegnatori, graphic novelist, esperti di animazione…Sono sicuramente di parte ma credo che l’Emilia-Romagna per vivacità creativa, accoglienza e anche capacità di immaginazione (per non parlare del folklore!) sia irresistibile.

Lavorare per il cinema è sempre stato il tuo sogno? O avresti preferito fare la scrittrice tout court? Parlaci di te.
Ho sempre desiderato fare la scrittrice, e prima o poi credo che tornerò (anche) alla scrittura di narrativa, quando troverò la storia giusta e quando mi sentirò pronta. La sceneggiatura è un tipo di scrittura che d’istinto non mi veniva naturale – avevo uno stile molto mentale, pieno zeppo di monologhi interiori e paranoie magiche – e che ho avvicinato e studiato inizialmente grazie alla passione da spettatrice per le serie tv, e per un motivo molto pratico: poter vivere di scrittura. Ho scritto un libro, Tettonica (Feltrinelli Comics), una graphic novel illustrata da Cristina Portolano a cui tengo moltissimo, ma anche in questo caso si tratta di una sceneggiatura. Prima o poi avrò il coraggio di tuffarmi in un romanzo, sperando di saper nuotare.

Raccontaci una tua giornata tipo al lavoro.
La mia giornata tipo non è particolarmente avvincente! Assomiglia molto alla quotidianità che avevamo in tanti durante il lockdown: normalmente mi sveglio, vado nel mio studio (che è a circa un paio di metri di distanza dalla camera in cui dormo) e mi metto davanti al pc, dove scrivo o faccio brainstorming in call tutto il giorno. Per fortuna ogni tanto ci sono delle variazioni: riunioni in presenza, conferenze stampa, anteprime, lezioni a scuola. La sera poi recupero tutta la socialità che mi è necessaria, che è molta.

Che suggerimenti potresti dare a chi vorrebbe seguire un percorso simile al tu0?
Non vedere la scrittura come qualcosa di magico e l’essere scrittori come una fiamma sacra che può eleggerti o no. Certo, una scintilla di talento o predisposizione esiste, ma per gran parte questo lavoro, come molti lavori, si impara studiando e facendone esperienza, provando e riprovando, accettando con pazienza le molte riscritture e cambi di direzione, e imparando a lavorare in gruppo. Soprattutto, bisogna allenare la fantasia a giocare con i molti vincoli e imprevisti che la realizzazione di un prodotto audiovisivo comporta.

Hai un sogno che vorresti assolutamente realizzare o un/una regista con cui ti piacerebbe collaborare?
Lavorare con Greta Scarano è stato bellissimo e voglio continuare assolutamente il nostro percorso, ma anche lavorare con l’altra Greta cinematografica (Gerwig) non sarebbe affatto male! Frances Ha, diretto da Baumbach ma co-scritto e interpretato da lei, e Lady Bird, sono tra i miei film preferiti. Il mio sogno nel cassetto resta la narrativa, anche solo ammetterlo mi fa paura, ma il nostro film mi insegna che devo “provare e riprovare per i prossimi cent’anni fino a che non arriverà anche il mio momento”, e credo che farò proprio così.