Speciale Venezia 78: Viaggio nel crepuscolo al Lido

Il film di Augusto Contento in anteprima come Evento Speciale della Mostra del Cinema

09 settembre 2021

Augusto Contento e Marco Bellocchio protagonisti alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che il 9 settembre ospiterà la prima assoluta di Viaggio nel crepuscolo, primo film di una trilogia sulla storia dell’Italia Contemporanea e presentato  tra i grandi eventi fuori concorso. Prodotto dalla francese Cineparallax SARL, in coproduzione con la casa bolognese Articolture SRL, “Viaggio nel crepuscolo” fonde incessantemente finzione e documentario, e si è sviluppato dalle riprese di M.B. progetto di Giuseppe Frigeni sul cinema di Marco Bellocchio, sostenuto nel 2017 dal Fondo Audiovisivo dell’Emilia-Romagna. In “M.B.” a raccontarsi sono il maestro di Bobbio – fresco di Palma d’Oro d’Onore alla carriera all’ultimo festival di Cannes – e chi ha collaborato con lui, come, ad esempio, Anouk Aimée e Isabelle Huppert, viaggiando lungo il binario in cui scorrono la cinematografia e il contesto privato, storico e sociale in cui questa si è sviluppata. “Viaggio nel crepuscolo” si pone l’obiettivo di trattare con prospettive insolite le principali questioni italiane e internazionali che partono dalla rivoluzione degli Anni ‘60, percorrendo le strade che portano agli Anni di piombo, nella fredda oscurità del declino: della famiglia, della società patriarcale, delle istituzioni scolastiche, della religione.
Ecco che cosa ci ha raccontato Augusto Contento.

Da un progetto sul cinema di Bellocchio a un viaggio dentro la storia e la società italiana e internazionale. Qual è stato il percorso che vi ha fatto intraprendere questo Viaggio nel crepuscolo?

Poco prima dell’insorgere del corona virus la Cineparallax di Parigi, la società da me fondata e di cui sono socio, tramite Giancarlo Grande, il responsabile di produzione, e Adriano Aprà, storico critico cinematografico, mi hanno proposto di lavorare su un progetto dedicato a Marco Bellocchio.
Durante l’inizio della pandemia, un periodo per me molto tormentato, sia dal punto di vista esistenziale, sia intellettuale, sono stato assalito dall’urgenza irrefrenabile di esplorare nuovi territori della mia immaginazione. Di creare un linguaggio rivoluzionario capace di sovvertire in profondità i parametri retrogradi del cinema e dell’arte industriale, che contribuiscono in modo indecente a diffondere il pensiero unico del neoliberismo tecnocratico.
Trovandomi immerso in una società in cui la follia dell’economia, di una cultura ed una informazione totalmente succubi del profitto, che strenuamente si oppone a qualsiasi forma di ragione e pertanto di libertà, equità e democrazia, ho avvertito la necessità di realizzare un’opera in cui potessi mettere in parallelo la finzione creativa con la finzione storico/politica. Poiché ritengo che la finzione nell’arte sia uno strumento attraverso cui rivelare verità profonde, indicibili e inconfessabili. Mentre, al contrario, nella storia, nella politica, la finzione viene usata per falsificare la realtà e fatti apparentemente inoppugnabili vengono distorti sino a diventare narrazione ufficiale della propaganda di regime.
Misurarmi con Marco Bellocchio era per me una sfida interessante, perché si trattava di un cineasta molto distante dalla mia estetica. Questa differenza mi stimolava molto, perché credo che in genere degli immaginari contrapposti siano in grado di produrre una intensa tensione creativa e drammaturgica. Un’energia catartica, in grado di fissare i presupposti essenziali per un linguaggio cinematografico originale ed equilibrato dal punto di vista semantico. Poiché nell’arte l’armonia è frutto di una inesauribile precarietà. Dunque di una inflessibile, permanente, messa in discussione della propria soggettività, della propria inventiva e del senso degli avvenimenti.
Non essendo interessato alla biografie, per me l’opera d’arte non deve mai ridursi alla soggettività dell’autore, ho pensato di trasformare il cinema di Marco Bellocchio in uno strumento investigativo attraverso il quale raccontare un determinato periodo della storia d’Italia.
Giacché volevo creare un film in cui si mescolassero finzione e documentario, verità artistica e menzogna storica, ho deciso di raccontare un arco di tempo che partisse dagli anni sessanta e si esaurisse nel 1978, col delitto Moro. Perché credo che l’epoca delle stragi, dei tentati golpe, delle organizzazioni clandestine, degli opposti terrorismi, di tragedie macabre ed ancora irrisolte, fosse una dimostrazione di come il potere, per raggiungere i suoi scopi oscuri, adottasse le tecniche dell’arte, tuttavia capovolgendone le sue finalità. Infatti la messa in scena della borghesia industriale, partitocratica, le molteplici sceneggiature horror dei servizi segreti atlantici, del patto di Varsavia, miravano ad unico obbiettivo: manipolare l’opinione pubblica e polarizzare lo scontro tra le opposte fazioni e le opposte generazioni.
Ho scelto quattro film dell’autore di Bobbio, «I pugni in tasca», 1965, «Nel nome del padre», 1972, «Salto nel vuoto», 1980, «Buongiorno notte», 2003, opere militanti, poiché a mio avviso Marco Bellocchio è uno dei cineasti più engagé del nostro cinema, poiché raffigurano vizi e virtù dell’Italia del boom. Incarnano lo zeitgeist del ’68, pesantemente osteggiato dalla società patriarcale, da pezzi dello stato ancora massicciamente condizionati da apparati fascisti. E infine inquadrano gli assolutismi manichei degli anni di piombo, che erano espressione di un cattolicesimo folkloristico, di matrice democristiana e vaticanista, e prima ancora del settarismo medievale dell’Italia comunale. Una replica estenuante, logora, dello scontro tra guelfi e ghibellini.

Nel film niente sembra avere una definizione precisa: il cinema diventa poesia, diversi stili narrativi si intrecciano, il film stesso fonde documentario, fiction e animazione. Caos artisticamente organizzato? Provocazione per lo spettatore davanti a molteplici sentieri interpretativi personalissimi? 

Il cinema autentico è sempre poesia. Viaggio nell’ignoto, ricerca dell’indecifrabile. «Viaggio nel crepuscolo» è un’opera quantistica, dove i molteplici generi cinematografici diventano dei veri e propri universi paralleli, che si specchiano e riflettono a vicenda. Nella storia del cinema il genere è uno strumento attraverso cui si rende fruibile una vicenda complessa. Nel mio film i generi diventano prospettive, angolature, che sottolineano il mistero, la natura sfuggente, spesso incomprensibile e quindi disorientante, degli avvenimenti. Del resto non m’interessava cercare risposte, soluzioni. In questo senso il mio film è «classico» nell’accezione greca del termine, non cerca risposte, soluzioni, si limita ad interrogare. A mostrare i problemi da più punti di vista, senza pretendere di giungere ad una verità definitiva. Infatti gli episodi chiave degli anni sessanta, settanta, più che dal punto di vista giudiziario, della cronaca, m’interessano, mi affascinano, soprattutto per le questioni metafisiche che ci sollevano. Per esempio il delitto Moro non ci parla soltanto dell’assassinio di un leader politico, delle Brigate Rosse, ma del rapporto tra carnefice e vittima. Di quanto verità salvifiche possano diventare degli implacabili strumenti di tortura. Di come ideali elevati, giusti, come l’uguaglianza, la difesa degli oppressi, il superamento della ricchezza materiale in quanto unica forma di potere e desiderio, in delle specifiche circostanze possano perdere il loro valore esemplare e trasformarsi in sentimenti abietti, scellerati, fino addirittura a diventare i moventi barbari di un crimine efferato.
«Viaggio nel crepuscolo» è un film ultrarealista, un’opera che si spinge oltre le apparenze della nostra società, oltre i pregiudizi delle ideologie, ed esplora i meandri dell’inconscio collettivo. Perché nella storia, le allucinazioni, le menzogne, le follie, spesso s’impongono sui sogni, sulla verità e sulla ragionevolezza. Basti pensare all’ultimo secolo e mezzo. Ai deliri nazi-fascisti, alle purghe anti-comuniste dello stalinismo, alla shoah, al Vietnam e alle guerre in medio-oriente. Al totalitarismo del neocolonialismo iperliberista da cui si generano i mostri del fondamentalismo talebano e che causa flagelli planetari tipo la recente pandemia.
Il kaos (non caos all’italiana), ancora nell’accezione classica, greca, per me è uno strumento attraverso cui decostruire un ordine fittizio, che sostituisce il vero con il virtuale e l’essenza col futile. Questa è una delle ragioni per cui ho deciso di usare le animazioni. Perché mi consentivano di confrontarmi con l’invisibile, con l’irrappresentabile. Di superare i limiti del corpo, del tempo, e di teletrasportarmi tra gli ologrammi dell’inconscio, che sono il riverbero dei nostri sentimenti inespressi, quelli più incondivisibili, delle nostre percezioni più indescrivibili e del nostro rapporto equivoco con la realtà che siamo destinati a subire.


Ci si addentra in una visione sempre più profonda grazie anche alla partecipazione di tanti artisti, intellettuali, magistrati, protagonisti della nostra storia contemporanea. Qual è stata la loro reazione e il loro pensiero davanti al progetto?  

Non ho spiegato il mio progetto ai miei protagonisti, perché volevo essere libero dal punto di vista creativo.

Dove condurrà lo spettatore questo viaggio?

«Viaggio nel crepuscolo» è un’odissea in cui si sovrappongono Omero, Dante, il Melville di «Moby Dick» e il Conrad di «Heart of Darkness» (Cuore di Tenebra), autori che hanno inciso profondamente il mio immaginario. I suoi protagonisti sono artisti, filosofi, intellettuali, che vengono raffigurati come esploratori dell’inconscio, del crepuscolo appunto, quella sottilissima linea, in cui luci e tenebre si confondono, un momento che secondo me descrive con precisione la natura dell’essere umano.
Il film è un viaggio senza inizio e senza fine, d’altronde il cinema è un continuo addentrarsi in luoghi inaccessibili e in questo senso è l’arte che meglio traduce il panta-rei di Eraclito. Ci muoviamo in un inconscio artico, inospitale, che rappresenta il crepuscolo degli dei della società italiana, iniziato proprio con la supposta rivoluzione del ’68. Territori nei quali si alternano spazi di galassie ignote, foreste impenetrabili, iceberg, mari ghiacciati, villaggi sottomarini, e in cui di tanto in tanto spuntano città italiane, i capolavori artistici delle loro maestose architetture, ridotte in macerie e popolate da figure inquietanti, che incarnano i fantasmi della storia e della cattiva coscienza.
Gli  spettatori del film viaggeranno fianco a fianco con i nostri personaggi, perché l’opera modella il pubblico e al contempo si lascia modellare dal pubblico. Navigheranno dentro sottomarini, su vascelli fantasma, canoe, correranno su locomotive sferraglianti, mezzi che sono allegoria della fantasia. Si tramuteranno in hobos e marinai che a differenza di Achab, il celebre nostromo di Melville, non daranno la caccia alla balena, non si faranno atterrire dai mostri della propria interiorità, ma si lasceranno guidare dall’orca Virgilio, dalla loro metà oscura che è l’unico modo per affrontare i dilemmi irrisolvibili della nostra storia e della nostra esistenza.